di Cristina Ghezzi, Psicologa – Psicoterapeuta
La violenza sulle donne è ancora la più diffusa delle violenze (ONU) perché è trasversale, sistemica, strutturale e pervasiva: ogni donna, di qualsiasi ceto, qualsiasi confessione religiosa e qualsiasi etnia può caderne vittima.
La maggior parte dei casi di violenza avviene tra le mura domestiche, inoltre, almeno sette femminicidi su dieci, in Italia, sono causati da un convivente o da un ex partner all’interno di una storia di violenza ben radicata. Quando si parla di violenza contro le donne non intendiamo “soltanto” la violenza fisica, ma anche quella violenza psicologica ed emotiva, che si rivolge contro la mente dell’altra, sicuramente meno visibile dall’esterno, ma non meno traumatica per chi la subisce. Alla base di tutti i tipi di violenza ci sono l’odio, la rabbia e il pensiero che l’altro non valga nulla e debba essere trattato come un oggetto. La violenza psicologica può anche non trasformarsi mai in violenza fisica e rimanere sempre “insospettabile”, in uomini che conducono una vita regolare e apparentemente normale. Secondo l’antico concetto di “raptus”, a un certo punto della vita una persona assolutamente sana potrebbe trasformarsi all’improvviso in un feroce assassino. Attualmente, però, più recenti correnti di pensiero ipotizzano che alla base di certi comportamenti violenti ci sia, se non proprio una patologia mentale manifesta, quantomeno un disturbo latente del pensiero che si concretizza in un rapporto violento tra uomo e donna.
In questi rapporti disfunzionali tra uomo e donna ci troviamo davanti a un uomo con una personalità soltanto apparentemente “sana” che, invece, nasconde una forte anaffettività; e, di contro, a una donna fragile, con scarsa autostima e a rischio di depressione. Si può stabilire tra i due una relazione basata sul controllo e sulla dipendenza, un rapporto, perciò, non fondato sul confronto e sullo scambio, ma sul possesso e sullo scontro continuo, in cui, al posto dell’amore per l’altro e dell’affetto sono presenti la rabbia e l’odio. Spesso le vittime non riescono a parlare della loro situazione, per vergogna, paura, sensi di colpa o rabbia; a volte è presente anche un senso di inadeguatezza per non essere riuscite a cambiare il partner, altre volte, pur essendo consapevoli della violenza, non si riesce a rifiutare il partner e la situazione drammatica, e cominciano a manifestarsi malattie fisiche o psichiche, quali attacchi di panico, ansia, insonnia, difficoltà a concentrarsi e disturbi della memoria, fino ad arrivare al disturbo post-traumatico da stress cronico, o all’abuso di alcol o di sostanze stupefacenti.
Il modello responsabile della violenza contro le donne è il patriarcato, ma anche la reazione degli uomini a una maggiore libertà conquistata nel tempo dalle donne e, dunque, alla susseguente crisi della società patriarcale stessa.
L’aspetto culturale e le dinamiche relazionali disfunzionali e patologiche si intrecciano presentandosi come due facce della stessa medaglia: infatti, le vicende personalissime di ognuno di noi e delle sue relazioni con gli altri, si nutrono della cultura in cui tutti siamo immersi fin da quando nasciamo e di cui assorbiamo i valori… e la nostra cultura esalta ancora oggi un certo modello di corpo femminile come oggetto di piacere, ma anche oggetto tout court, abbassato a livello di merce per vendere altra merce.
Sappiamo che per le donne vittime di violenza chiedere aiuto può essere molto difficile, sia per la carenza di informazioni relative ai servizi a cui potersi rivolgere (centri antiviolenza, sportelli di ascolto e aiuto), sia perché spesso non hanno la piena consapevolezza di quello che stanno attraversando oppure se ne vergognano o, ancora, non vogliono uscire allo scoperto per la paura, non infondata, di ritorsioni e vendette da parte del partner o dell’ex violento; può essere presente anche scarsa fiducia nelle forze di polizia e nelle istituzioni in genere, insieme al timore di non essere credute né protette adeguatamente o magari di non avere le risorse materiali per mantenere se stesse o i figli. Anche i condizionamenti sociali e culturali fanno la loro parte, inducendole a pensare di vivere una situazione “normale” perché magari è comune anche a conoscenti, parenti, amiche che non si lamentano.
Negli anni la sensibilità su questo tema è molto aumentata e anche le forze dell’ordine hanno istituito servizi speciali che si occupano della prevenzione e dell’intervento contro la violenza domestica e lo stalking. Sul nostro territorio sono presenti, anche se in maniera non uniforme, i centri antiviolenza aperti 24 ore su 24 e contattabili attraverso il numero telefonico nazionale 1522; le case-rifugio che accolgono le donne e i loro figli per salvaguardarne l’incolumità fisica e psichica e il cui indirizzo è noto solo a chi opera nei sevizi e all’autorità giudiziaria. Esistono poi gli sportelli antiviolenza situati nelle sedi dei Comuni oltre che in molti ospedali, ma è possibile chiedere aiuto anche agli sportelli psicologici nelle scuole, al medico di famiglia, al consultorio, al ginecologo di fiducia o al pediatra, per chi ha bambini.
I CAM (centri di ascolto per uomini maltrattanti) si occupano, al contrario, di prendere in carico uomini autori di comportamenti violenti nelle relazioni di coppia; purtroppo, va detto che circa il 40% di essi abbandona il percorso riabilitativo perché non realmente motivato, ma inviato dall’autorità giudiziaria o dal proprio legale per poter usufruire dei benefici previsti dalla legge. Per quanto riguarda la prevenzione, è importante sottolineare che nella maggioranza dei casi di violenza contro le donne sono presenti “campanelli d’allarme” precedenti all’instaurarsi del ciclo della violenza; l’uso di sostanze stupefacenti e alcol o la presenza di malattie psichiatriche sono indici predittivi di una possibile futura manifestazione di aggressività, così come la violazione delle misure coercitive a cui era stato sottoposto il soggetto in quanto già autore di violenze. È fondamentale, quindi, non sottovalutare quei segnali che potrebbero indicare la presenza di un’alterazione del pensiero nell’uomo che poi diventerà un persecutore o, nel peggiore dei casi, un omicida.
E’ in corso da anni un processo di sensibilizzazione, sia da parte delle istituzioni, ma anche a livello individuale sul tema della violenza contro le donne; ancora tantissimo c’è da fare, siamo solo agli inizi, ma è stato avviato un percorso che chiede la partecipazione delle donne ma anche degli uomini per la costruzione di relazioni basate sull’uguaglianza, ma anche, nello stesso tempo, sulla diversità, perché, come ogni singolo individuo è uguale agli altri, nel senso di non essere né inferiore né superiore, è anche unico e originale quindi diverso da ogni altro essere umano e degno di rispetto e cura.