di Barbara Calcinai, Psicologa-psicoterapeuta, Presidente de Lo Schicco di Grano APS

La questione della violenza contro le donne è sempre dolorosamente attuale, nonostante tutti gli sforzi profusi dalle donne (e dagli uomini) più illuminati: femminicidi, violenze e stupri continuano a inondare i notiziari. La violenza contro le donne viola i diritti umani, è pervasiva e persistente, trasversale a tutte le fasce d’età, eppure ci abbiamo fatto l’abitudine come a qualcosa che a cui nascere donna rende inevitabilmente soggette.

Quando si parla di violenza contro le donne, non ci si riferisce soltanto ai casi più drammatici ed espliciti, come femminicidio, stupro, aggressione sessuale, maltrattamenti fisici o stalking, ma anche a tutti quei casi in cui la donna è volontariamente soggiogata proprio in quanto donna: non potendo accedere alle risorse economiche della famiglia; quando è obbligata a non lavorare (violenza economica), quando è minacciata nei suoi affetti più cari  (i figli, i genitori, i fratelli) o umiliata sessualmente, mentalmente o emotivamente (violenza affettiva e psicologica), quando è costretta, con la forza o con la manipolazione, a fare ciò che non vuole. Anche la gelosia, quando è ossessiva, è una forma di violenza ai danni della donna, perché la tiene prigioniera e la fa vivere costantemente nel terrore. È una forma di violenza passiva, invece, quella inculcata nella donna di non ritenersi degna o capace di uscire da un rapporto di coppia che è soltanto fonte di dolore e paura. Tutti i tipi di violenza appena descritti hanno un fattore comune: la reificazione della donna, il renderla un oggetto. Nonostante anni di lotte e di ricerca dell’emancipazione dal potere dell’uomo, la donna è ancora un “oggetto”, di cui si può disporre a piacimento: sessuale, idealizzato, utile per vendere prodotti ecc. Madre, Moglie, Amante, Sirena seducente, Strega cattiva, Zitella… ruoli sclerotizzati e congelati da pregiudizi e stereotipi che mantengono le donne reali, vere, nel timore di non corrispondere alle aspettative che altri hanno creato su di loro. E così si accende l’odio, la rabbia contro la donna che dice “no”, che si libera dalle catene e dall’immagine di donna – oggetto. Libera di costruirsi la carriera che desidera; libera di amare i propri figli o a anche di non averne; libera di non accompagnarsi a un uomo; di amare il proprio corpo così com’è; libera di cercare una relazione affettiva paritaria e soddisfacente. Libera dalle convenzioni, dagli stereotipi, dalle aspettative della società.

Il cambio di mentalità, tanto perseguito e sospirato, passa anche da noi donne e dalla nostra capacità di fare rete con le altre donne, di educare le giovani generazioni al rispetto di genere e delle differenze, che nell’uguaglianza dei diritti e dei doveri, appartengono a ciascuno di noi e sono portatrici di ricchezza e non di disuguaglianza sociale.

Diciamo “no”, alla violenza in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue forme; diciamo “no” tutto l’anno a chi cerca di mantenerci in catene. Impariamo ad apprezzarci per poi apprezzare senza invidia e senza gelosia le altre donne, che come noi ogni giorno si alzano e affrontano, con le risorse che hanno, un mondo che è ancora in mano agli uomini. Educhiamo i nostri figli, i nostri nipoti, i nostri studenti al rispetto reciproco, allo scambio, alla curiosità e all’ascolto.

Partiamo da noi stesse per cambiare il modo in cui il mondo ci vede.