Linda Savelli, dottoressa in tecniche psicologiche per i servizi alla persona e alla comunità e dottoressa in filosofia

 L’adolescenza è una tappa dello sviluppo complessa e sfaccettata, in cui la persona in crescita cerca la propria strada sforzandosi di allontanarsi dai modelli familiari, sviluppando un proprio punto di vista sul mondo e sugli eventi. Si tratta anche della fase in cui il giovane comincia a porsi domande esistenziali, che possono destare inquietudine e un iniziale senso di smarrimento, perché adesso è capace di padroneggiare efficacemente il ragionamento astratto. L’adolescente è chiamato a dare una propria personale risposta alle domande sul senso della vita, una risposta influenzerà in maniera significativa il futuro corso della sua esistenza. Già dalla preadolescenza il ragazzo è in grado di sviluppare una certa consapevolezza della morte, dell’irreversibilità della perdita che subirà al momento della morte di un genitore o di un familiare e delle ripercussioni emotive che tale perdita può comportare, proprio perché i suoi pensieri stanno cominciando a orientarsi alla riflessione sul senso dell’esistenza e sulla morte (Mencacci et al., 2015). Benché consapevoli di cosa significhi morire, gli adolescenti non sono uguali agli adulti e non sono in grado di utilizzarne le stesse strategie di coping, né ne posseggono la medesima maturità emotiva. Fino ai 15 anni circa, è probabile che gli adolescenti abbiano difficoltà a pensare che qualcun altro possa aver mai provato un dolore tanto straziante quanto il loro e possono somatizzare le emozioni dirompenti dovute al lutto attraverso vari disturbi fisici. Inoltre, possono sperimentare nuovamente il bisogno di un oggetto transizionale, per esempio, un oggetto appartenuto al genitore defunto (Mencacci et al., 2015), per gestire il senso di perdita e di solitudine che provano. I ragazzi più grandi, invece, possono esprimere le emozioni ancora irrisolte attraverso scoppi di rabbia o di aggressività e repentini sbalzi d’umore, oppure possono chiudersi nel silenzio e rifiutare di affrontare argomenti legati al morire e alla perdita (Mencacci et al., 2015). Può, infine, presentarsi un’oscillazione tra l’idealizzazione del genitore defunto e la sua svalutazione, rendendolo oggetto di scherno e disprezzo, nel tentativo di difendersi da un dolore percepito come intollerabile. In adolescenza, poiché il gruppo dei pari viene a sostituire, per autorità, la famiglia, per il giovane è fondamentale che l’immagine che i pari si sono costruiti del suo comportamento non si trasformi in quella di una persona “debole”; quindi, può accadere che o non mostri la sua sofferenza davanti agli amici.  L’adolescente che cerca di gestire il proprio lutto da solo non sempre riesce a farlo in modo funzionale; può, allora, accadere che metta in atto comportamenti rischiosi, come abusare di alcolici e di sostanze stupefacenti o guidare pericolosamente. Con i bambini e con gli adolescenti in lutto, per evitare che esso si trasformi in lutto complicato, è importante, dunque, poter offrire un buon sostegno psicologico che parta dall’ascolto e un’adeguata psicoeducazione.

Bibliografia di riferimento:

Mencacci, E., Galiazzo, A. & Lovaglio, R. (2015). Dalla malattia al lutto – buone prassi per l’accompagnamento alla perdita. Milano: Casa Editrice Ambrosiana.