di Cristina Ghezzi, Psicologa – Psicoterapeuta
Si sente spesso palare di disturbo ossessivo-compulsivo (o, abbreviato, DOC), ma occorre distinguere le caratteristiche patologiche da quelle che non lo sono, per poi parlare delle eventuali cause e proporre, infine, possibili percorsi di trattamento. Le parole “ossessione” e “compulsione” sono frequentemente utilizzate in modo improprio nel linguaggio quotidiano, cosa che può indurre a ritenere che “un po’ tutti abbiamo qualche ossessione”. In realtà, è importante distinguere fra ciò che può sembrare una “fissazione”, come un hobby o una passione particolarmente significativi per l’individuo, ma che offrono benessere e soddisfazione, e ciò che, invece, è fonte di disagio, talvolta in maniera così pervasiva da rendere impossibile vivere una vita quotidiana normale. Questo vale anche per le compulsioni: essere meticolosi sul lavoro o particolarmente perfezionisti, cercare di fare le cose al meglio che si può, non significa essere ossessivi: generalmente, infatti, ciò costituisce un modo per rassicurarci rispetto a preoccupazioni che sono del tutto legittime.
E’ importante sottolineare, quindi, come certi rituali siano assolutamente naturali: pensiamo, per esempio, alla richiesta, spesso insistente, dei bambini piccoli di ascoltare storie e fiabe prima di dormire (quasi sempre le stesse), che costituisce un modo per creare un’atmosfera serena in un momento delicato com’è quello dell’addormentamento. Esistono anche riti e rituali che hanno la funzione di trasmettere valori e credenze, come per esempio quelli religiosi, o i riti che segnano momenti di passaggio salienti nella vita di una persona, quali il matrimonio, la laurea, il pensionamento ecc.; infine, ci sono i riti quotidiani del pasto o dell’addormentamento, in cui non c’è generalmente niente di patologico.
Il disturbo ossessivo-compulsivo, è, invece, disfunzionale, in grado di ostacolare la realizzazione del compito, ma, soprattutto, è causa di grande sofferenza per l’individuo che ne soffre. Le ossessioni sono, infatti, pensieri, immagini, rappresentazioni o impulsi di natura intrusiva che si presentano alla mente in maniera autonoma e che si auto-alimentano, creando grande disagio e ansia, spesso seguiti da comportamenti compulsivi che tentano di placare la sofferenza e l’ansia. Le compulsioni sono rituali costituiti da azioni mentali o comportamenti ripetitivi, costrizioni, obblighi ai quali il soggetto non riesce a sottrarsi e che non hanno nessun rapporto realistico con ciò che dovrebbero neutralizzare o prevenire (come, per esempio, lavarsi le mani per ore per impedire che i propri familiari si ammalino).
Nel disturbo ossessivo-compulsivo, i cui sintomi sono trasversali e che possono essere presenti anche nelle psicosi o negli ipocondriaci, ha un peso notevole il dubbio, che è diverso dall’incertezza. Quello che l’ossessivo non riesce a sopportare, infatti, è proprio l’incertezza, ciò che è sconosciuto, che non è controllabile e prevedibile e per evitare questo stato di non controllabilità, cade nel dubbio che non si risolve, nel pensiero ricorsivo, che lo riporta sempre al punto di partenza; l’ossessivo vive chiuso in una prigione che si costruisce con le proprie mani e che lo spinge a una ruminazione continua, la quale gli impedisce di scegliere, di sapere ciò che gli piace e ciò che, invece, non gli piace. Gli impedisce, dunque, di assumersi le responsabilità delle proprie decisioni e della propria vita; questo meccanismo che si autoalimenta, impedisce, infatti, la conoscenza di sé stessi e degli altri, per cui diventa sempre più difficile fare delle scelte e prendere decisioni nelle relazioni.
Ma da dove deriva questo “dubitare” continuo che pervade l’intera esistenza?
Gli studi più recenti hanno ipotizzato che chi soffre di DOC sia cresciuto in una famiglia disfunzionale, mbivalente, moralmente rigida e iper-responsabilizzante, nelle quale, proprio perché è presente l’ambivalenza, i messaggi inviati sono dissocianti, ragion per cui la corrispondenza fra il sentire del bambino e l’atteggiamento degli adulti non avviene (doppio messaggio); spesso si tratta anche di famiglie iperprotettive, che ostacolano il progressivo sviluppo dell’autonomia e in cui sono presenti dimensioni abbandoniche. Il bambino, che ha un’assoluta fiducia nei genitori, finisce per mettere sempre più in discussione ciò che realmente prova, non è più certo delle proprie sensazioni ed entra nella spirale del dubbio che rende l’Io sempre più fragile; l’incoerenza delle risposte ricevute, ripetute nel tempo, genera uno stato di confusione persistente e pervasivo e un conflitto interno che lo disorienta e crea angoscia. In questo quadro, il pensiero ossessivo, il rituale e la compulsione, vanno a costituirsi come una modalità per ritornare in controllo, per calmare l’angoscia e i sentimenti di rabbia non elaborati: è un pensiero “magico”, in cui la compulsione serve a riparare la colpa degli affetti violenti provati che non sono compresi nella loro natura e sono totalmente slegati da qualsiasi dinamica di rapporto. Infatti, chi presenta un DOC spesso non è in grado di fare un’analisi accurata delle proprie e altrui emozioni e manca della consapevolezza di ciò che può essere accaduto nell’infanzia; il pensiero appare bloccato e l’individuo non è in grado di superare gli aspetti manifesti: un rimuginio fine a se stesso che permette di evitare il problema e costituisce uno scudo alle proprie emozioni e affetti, una corazza caratteriale che spesso nasconde una grave depressione o, nel peggiore dei casi, una psicosi. I sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo sono trasversali, per esempio nei disturbi d’ansia possono essere presenti dei pensieri intrusivi che si ripetono frequentemente ma, a differenza del DOC, il loro contenuto è legato alla vita reale e non presenta aspetti magici o bizzarri, si tratta magari di preoccupazioni legate alla situazione economica, al lavoro, a problemi familiari o di salute. Anche nella depressione maggiore può essere presente la ruminazione mentale, ma l’individuo non la vive in maniera egodistonica come nel disturbo ossessivo-compulsivo, in cui i sintomi vengono percepiti come fonte di malessere, ma piuttosto come un aspetto della situazione di sofferenza generale che non ha particolare rilievo; il depresso, infatti, non ritiene “irrazionali” i suoi pensieri e non presenta generalmente compulsioni.
Per quanto riguarda le opzioni di trattamento, può essere necessario ricorrere all’uso di psicofarmaci, poiché se i sintomi sono così gravi e invalidanti da impedire un approccio psicoterapeutico i farmaci costituiscono una terapia propedeutica o di affiancamento alla psicoterapia vera e propria. Quando la sintomatologia si attenua, è possibile affrontare le cause del malessere attraverso un percorso psicoterapico, per comprendere dove si origina il blocco mentale e comportamentale, che rende queste persone sostanzialmente “congelate”, incapaci di prendere decisioni e, quindi, di fare delle scelte di vita. Si ricostruisce la storia familiare con le sue relazioni e affetti, gli eventuali traumi e le difficoltà, si considerano i limiti e le risorse, si dà un senso ai pensieri ossessivi e alle compulsioni, interpretandoli alla luce dei vissuti dell’individuo. Quando si è instaurata una buona alleanza terapeutica, è possibile cominciare un percorso di elaborazione delle dinamiche intrapsichiche che condurrà a una nuova consapevolezza di sé e a un pensiero personale più sicuro, attraverso la trasformazione di quel mondo costituito da affetti, pensieri e immagini che costituisce la realtà degli esseri umani.